domenica 8 maggio 2011

DALL'IMMAGINE TESA


di Clemente Rebora

Dall'immagine tesa
vigilo l'istante
con imminenza di attesa –
e non aspetto nessuno:
nell'ombra accesa
spio il campanello
che impercettibile spande
un polline di suono –
e non aspetto nessuno:
fra quattro mura
stupefatte di spazio
più che un deserto
non aspetto nessuno:
ma deve venire;
verrà, se resisto,
a sbocciare non visto,
verrà d'improvviso,
quando meno l'avverto:
verrà quasi perdono
di quanto fa morire,
verrà a farmi certo
del suo e mio tesoro,
verrà come ristoro
delle mie e sue pene,
verrà, forse già viene
il suo bisbiglio.

3 commenti:

  1. Adesso mi prenderai per scema: di questo autore conoscevo solo la sua O POESIA, ma da questa mi sembra di sentire la voce di Magrelli.
    Essenziale e raffinata. Con anafore....non avevi detto che non ti piacevano???
    Buongiorno amica mia!!!

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  2. Per le anafore a volte faccio delle eccezioni. O meglio: non mi piace l’abuso che se ne fa. Spesso le anafore esprimono un’idea infantile di poesia, sono il segno di una pigrizia dell’immaginazione, come se il pensiero addormentato si accontentasse di ricorrere a ciò che di più facile e scontato offre l’officina poetica… Mi infastidisce l’anafora che vuole imporsi con la sua cantabile ripetitività, quella che senza nulla aggiungere a una poesia (in musicalità e senso) ti invade con un eccesso verbale tanto appariscente quanto vuoto… E’ chiaro che non ce l’ho con l’anafora in sé. Quello che non sopporto in generale è l’uso che a volte si fa degli strumenti del mestiere per coprire un vuoto di ispirazione. Questi arnesi bisogna adoperarli con parsimonia e capire quando è il caso di lasciarli nel cassetto degli attrezzi. Mi viene una specie di orticaria di fronte a ogni poesia troppo “poetica”. Ora che sulle anafore ti ho detto tutto spero di non esserti sembrata snob e severissima… Quanto alla poesia di Clemente Rebora… è una delle mie più amate in assoluto. L’ho letta per la prima volta in una raccolta di Enzo Bianchi, “Poesie di Dio” e in effetti è una preghiera. E’ perfetta per mille motivi: quest’attesa continuamente negata e ricreata, il senso del mistero assoluto che la pervade tutta, una presenza-assenza interrogata con amore e timore… (quel “polline di suono” è meraviglioso…). E le anafore qui sono parte integrante, assolutamente necessarie. Baci baci baci anaforici, Erm

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  3. Sono sostanzialmente d'accordo con te sul senso che l'anafora è forse una delle prime figure che si impara a padroneggiare. E' semplice, sonora e musicale: si ha l'idea di aver scritto proprio una poesia ed invece sono pensierini messi in fila. Non sempre succede, ovviamente.
    Qui, quel "verrà" dà la misura dell'attesa, di una fiducia incrollabile in questo venire, sembra, anzi che sia già presente, tanto è vibrante così, da sola la parola.
    Ma l'anafora è doppia: c'è anche quel suo "non aspetto nessuno" nella prima parte, molto contraddittorio rispetto all'altra anafora.
    Forse a significare, come dicevi anche tu, che lui stesso è combattuto, dal momento che nel distico di incipit si legge un "vigilo" e più sotto "spio". (ed a proposito di quelle "quattro mura / stupefatte di spazio", che mi dici? Lo trovo un accostamento delizioso...)
    Concordo sulla assoluta necessità anaforica e trovo anche stimolante questo scambio di idee.
    Contraccambio gli stessi baci.
    carla

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