sabato 10 dicembre 2011

La falciatrice

di Philip Larkin


La falciatrice si è fermata due volte: inginocchiandomi ho visto

un porcospino imprigionato tra le lame,

ucciso: aveva vissuto tra l'erba alta.


L'avevo già visto prima, gli avevo anche dato da mangiare.

Adesso avevo distrutto senza nessun motivo

il suo piccolo mondo inoffensivo senza rimedio

e seppellirlo non avrebbe migliorato le cose.


Il giorno dopo mi sono svegliato, ma lui non lo ha fatto

Il giorno dopo una morte l'assenza appare sempre

allo stesso modo, forse è il caso di prestarci attenzione.


Dovremmo comportarci gentilmente, uno con l'altro

finché c'è ancora tempo.

giovedì 24 novembre 2011

Paese d'inverno

di Attilio Bertolucci


Che il sole dopo la neve

appaia, e le nuvole si tingano di rosso

come schiave: la neve sui tetti

un rossore colorirà, guancia di principessa.

S'alzi un leggero vento

e spenga l'acqua, che s'era addormentata,

con assonnata voce di pastore;

escano fanciulle con scialli,

lampeggiando gli occhi neri,

e improvvisamente corrano punte dall'aria

simili a uccelli che s'alzino a volo.

E gli zingari rubino ragazzi.

lunedì 21 novembre 2011

SONETTO


di Gabriele Frasca

Tu specchio e spazio e tu scoglio e marina
tu porto e tu mammella ed aria rara
e guado e viaggio e tu fortuna e zara
grammatica ed azzardo e disciplina

tu faro e strada e stella di mattina
tu intendimento e voglia e pelle e chiara
luce tu azzurro e voce che mi impara
e soglia che m’accoglie e che m’affina

tu intera o franta in mani in ventre in bocca
e fronte e foglia e viva tu sapore
e segno dove giunge ciò che scocca

tu verbo e tu vangelo muschio e umore
tu vita e fonte e tu salvezza e rocca
eternità tu altissimo signore 



domenica 23 ottobre 2011

SCRITTA CON INCHIOSTRO VERDE

di Octavio Paz

L'inchiostro verde crea giardini, selve, prati,
fogliami dove cantano le lettere,
parole che son alberi,
frasi che son verdi costellazioni.

Lascia che le parole mie scendano e ti ricoprano
come una pioggia di foglie su un campo di neve,
come la statua l'edera,
come l'inchiostro questo foglio.
Braccia, cintura, collo, seno,
la fronte pura come il mare,
la nuca di bosco in autunno,
i denti che mordono un filo d'erba.

Segni verdi costellano il tuo corpo
come il corpo dell'albero le gemme.
Non t'importi di tante piccole cicatrici luminose:
guarda il cielo e il suo verde tatuaggio di stelle.



IL POETA FRUSTRATO

di Alexis Diaz Pimienta


A volte vorrei essere un poeta sociale,
di quelli che scrivono versi duri come pane raffermo,
versi osceni,
grassi,
asfissianti.

A volte vorrei essere Juan Gelman,
mettere la parola "fuoco" in una strofa,
scrivere un verso lungo come il sibilo d'una pallottola.

Ma sono in un giardino
che ti aspetto,
tu arrivi all'improvviso,
con la tua gonna cortissima,
e il vento apre tutte le prigioni.

 

 


SOGNI

di Cesare Pavese

Ride ancora il tuo corpo all'acuta carezza
della mano o dell'aria, e ritrova nell'aria
qualche volta altri corpi? Ne ritornano tanti
da un tremore dei sangue, da un nulla. Anche il corpo
che si stese al tuo fianco, ti ricerca in quel nulla.

Era un gioco leggero pensare che un giorno
la carezza dell'aria sarebbe riemersa
improvviso ricordo nel nulla. Il tuo corpo
si sarebbe svegliato un mattino, amoroso
del suo stesso tepore, sotto l'alba deserta.
Un acuto ricordo ti avrebbe percorsa
e un acuto sorriso. Quell'alba non torna?

Si sarebbe premuta al tuo corpo nell'aria
quella fresca carezza, nell'intimo sangue,
e tu avresti saputo che il tiepido istante
rispondeva nell'alba a un tremore diverso,
un tremore dal nulla. L'avresti saputo
come un giorno lontano sapevi che un corpo
era steso al tuo fianco.

Dormivi leggera
sotto un'aria ridente di labili corpi,
amorosa di un nulla. E l'acuto sorriso
ti percorse sbarrandoti gli occhi stupiti.
Non è più ritornata, dal nulla, quell'alba.



MURA

di Kostantinos Kavafis


Senza riguardo, senza pudore né pietà,
m'han fabbricato intorno erte, solide mura.
E ora mi dispero, inerte, qua.
Altro non penso: tutto mi rode questa dura sorte.
Avevo da fare tante cose là fuori.
Ma quando fabbricavano fui così assente!
Non ho sentito mai né voci né rumori.
M'hanno escluso dal mondo inavvertitamente.


SAPER VIVERE

di Cora Coralina

Non so...Se la vita è corta
O troppo lunga per noi,
Ma so che nulla di ciò che viviamo
Ha sentimento, se non tocchiamo il cuore delle persone.
Molte volte basta essere:
Collo che accoglie,
Braccia che avvolgono,
Parola che conforta,
Silenzio che rispetta,
Allegria che contagia,
Lacrima che scorre,
Sguardo che accarezza,
Desiderio che soddisfa,
Amore che promuove.
E questo non è cosa d'altro mondo,
E' ciò che dà sentimento alla vita.
E' ciò che fa che lei
non sia né corta,
né troppo lunga,
Ma che sia intensa,
Vera, pura...Fino a quando dura

 

LE FOGLIE MORTE

di Jacques Prevert


Oh! Vorrei tanto che tu ricordassi
i giorni felici quando eravamo amici.
La vita era più bella.
Il sole più bruciante.
Le foglie morte cadono a mucchi...
Vedi: non ho dimenticato.
Le foglie morte cadono a mucchi
come i ricordi e i rimpianti
e il vento del nord le porta via
nella fredda notte dell'oblio.
Vedi: non ho dimenticato
la canzone che mi cantavi.
È una canzone che ci somiglia.
Tu mi amavi
io ti amavo.
E vivevamo noi due insieme
tu che mi amavi
io che ti amavo.
Ma la vita separa chi si ama
piano piano
senza far rumore
e il mare cancella sulla sabbia
i passi degli amanti divisi.
Le foglie morte cadono a mucchi
come i ricordi e i rimpianti.
Ma il mio amore silenzioso e fedele
sorride ancora e ringrazia la vita.
Ti amavo tanto, eri così bella.
Come potrei dimenticarti.
La vita era più bella
e il sole più bruciante.
Eri la mia più dolce amica ...
Ma non ho ormai che rimpianti.
E la canzone che cantavi
sempre, sempre la sentirò.
È una canzone che ci somiglia.
Tu mi amavi
io ti amavo.
E vivevamo noi due insieme
tu che mi amavi
io che ti amavo.
Ma la vita separa chi si ama
piano piano
senza far rumore
e il mare cancella sulla sabbia
i passi degli amanti divisi



L'ALBERO DELLE POESIE


di Mario Quintana


Quando l’albero delle poesie non dà poesie,
i suoi rami si contorcono tutti come mani di sepolti vivi,
i rami ignudi, rinsecchiti, senza il perdono di Dio!
E, poi, mio Dio, questa lenta processione di anime arretranti…
Ogni tanto una cade, esausta ai lati del sentiero,
perché nessuno le avvicina alle labbra il fresco del calice,
la dolcezza del frutto che ci potrebbe essere in una poesia.
Maledetta la generazione senza poeti che lascia le anime
continuare ad andare come animali in stupida migrazione!
Quando l’albero delle poesie non dà poesie,
quale sarà il destino delle anime?



lunedì 5 settembre 2011

ABBI CURA

di Raymond Carver

Dalla finestra la vedo chinarsi sulle rose
reggendole vicino al fiore per non
pungersi le dita. Con l'altra mano taglia, si ferma e
poi taglia ancora, più sola al mondo
di quanto mi sia mai reso conto. Non alzerà
lo sguardo, non subito. È sola
con le rose e con qualcosa che riesco solo a pensare, ma non
a dire. So bene come si chiamano quei cespugli
regalatici per le nostre nozze tardive: Ama, Onora e Abbi Cura...
è quest'ultima la rosa che all'improvviso mi porge, dopo
essere entrata in casa tra uno sguardo e l'altro. Ci affondo
il naso, ne aspiro la dolcezza, lascio che mi s'attacchi addosso - profumo
di promessa, di tesoro. Le prendo il polso perché mi venga più vicina,
i suoi occhi verdi come muschio di fiume. E poi la chiamo, contro
quel che avverrà: moglie, finché posso, finché il mio respiro, un petalo
affannato dietro l'altro, riesce ancora a raggiungerla.



SOLITUDINE

di Antonia Pozzi


Ho le braccia dolenti e illanguidite
per un'insulsa brama di avvinghiare
qualche cosa di vivo, che io senta
più piccolo di me. Vorrei rapire
d'un balzo e poi portarmi via, correndo,
un mio fardello, quando si fa sera;
avventarmi nel buio per difenderlo,
come si lancia il mare sugli scogli;
lottar per lui, finché non rimanesse
un brivido di vita; poi, cadere
nella più fonda notte, sulla strada,
sotto un tumido cielo inargentato
di luna e di betulle; ripiegarmi
su quella vita che mi stringo al petto -
e addormentarla - e anch'io dormire, infine...
No: sono sola. Sola mi rannicchio
sopra il mio magro corpo. Non m'accorgo
che, invece di una fronte indolenzita,
io sto baciando come una demente
la pelle tesa delle mie ginocchia.






MATRIMONIO

di Adelia Prado


Ci sono mogli che dicono:
Mio marito, se vuole pescare, che peschi
ma i pesci poi se li pulisca.
Io no . A qualsiasi ora della notte mi alzo,
lo aiuto a squamare, aprire, tagliare e salare.
E' così bello, noi due da soli in cucina,
ogni tanto i gomiti si toccano

lui dice cose come: "Questo è stato difficile"
"Brillava nell' aria con colpi di coda"
e fa il gesto con la mano.
Il silenzio della prima volta che ci siamo visti
attraversa la cucina come un fiume profondo.
Alla fine, i pesci nella teglia,
andiamo a dormire.
Cose argentee guizzano:
siamo sposo e sposa.




domenica 4 settembre 2011

LA TUA PUPILLA E' AZZURRA

di Gustavo Adolfo Béquer


La tua pupilla è azzurra quando ridi
la sua dolce chiarezza mi ricorda
il fulgore tremulo del mattino
che si riflette nel mare.
La tua pupilla è azzurra e quando piangi
le lacrime trasparenti la velano,
come gocce di rugiada
sopra una violetta.
La tua pupilla è azzurra e se un'idea
come un punto di luce in fondo brilla,
mi sembra nel cielo della sera
una perduta stella.

PRENDIMI, STRINGIMI, CAREZZAMI PIANO

di Harriet Löwenhjelm


Prendimi, stringimi, carezzami piano,
abbracciami gentilmente per un attimo.
Piangi pure per un così amaro destino.
Rimani, tenero, a guardarmi riposare un po’.

Non andartene – Vuoi certo rimanere
fino a quando non me ne vada io stessa?
Appoggia la tua cara mano sulla mia fronte.
Ancora per un breve attimo siamo in due.

Questa notte morirò – la fiamma incerta di una candela.
Un amico è seduto e mi tiene la mano
Questa notte morirò – a chi posso chiedere
dove sto per andare, in che posto lontano?
Questa notte morirò – dove troverò il coraggio?

Domani rimarrà solo un povero corpo,
pietoso, amaramente indifeso,
che verrà portato nel suo ultimo viaggio
per essere inghiottito dalla nuda terra.
 



DOVE SEI TU E' IL MATTINO

di Cesare Pavese

Tu eri la vita e le cose.
In te desti respiravamo
sotto il cielo che ancora è in noi.
Non pena non febbre allora,
non quest'ombra greve del giorno
affollato e diverso. O luce,
chiarezza lontana, respiro
affannoso, rivolgi gli occhi
immobili e chiari su noi.
È buio il mattino che passa
senza la luce dei tuoi occhi.

LA PASSEGGIATA

di Anna Achmatova


La piuma urtò il tetto del calesse.
Io lo guardai negli occhi.
Il cuore si struggeva, non sapendo nemmeno
la causa della pena.
Sera senza vento, avvinta di tristezza
sotto l’arco del cielo nuvoloso,
il Bois de Boulogne pareva
tracciato a china in un album antico.
Aroma di benzina e di lillà,
una guardiga quiete...
Di nuovo egli toccò le mie ginocchia
con la mano che quasi non tremava


L'INCONTRO

di Katerine Mansfield 

E iniziammo a parlare,
guardandoci un attimo, schivi, con imbarazzo.
La tristezza chiamava lacrime,
ma non piangevo; desideravo
prenderti la mano, ma un tremito diffuso
me lo impediva.
Contavi i giorni che mancavano
a un altro appuntamento,
ma entrambi sentivamo nel cuore,
che soli ce ne andavamo per sempre.
Il suono acuto di una campana riempì la stanza.
"Ascolta" dissi "batte forte come un cavallo
che galoppa su una strada deserta
e che si perde nella notte scura."
Tacqui stretta tra le tue braccia
finché il rintocco vinse anche il battito dei nostri cuori.
"Non posso andarmene" dicesti,
"la mia vita è qui, in eterno."
Ma te ne andasti.
Tutto era cambiato. Il rintocco giunse sopito,
debole, sempre più fioco.
Dissi alla notte: "Se smette devo morire".



VECCHIA MARIA

di Ernesto Guevara de la Serna (Che)


Vecchia Maria, stai per morire,
voglio dirti qualcosa di serio:
la tua vita è stata un rosario completo di agonie.
Non hai avuto amore d'uomo,salute e denaro,
soltanto la fame da dividere con i tuoi.
Voglio parlare della tua speranza,
delle tre diverse speranze
costituite da tua figlia senza sapere come.
Prendi questa mano d'uomo che sembra di bambino
tra le tue levigate dal sapone giallo.
strofina i tuoi calli duri e le pure nocche
contro la morbida vergogna delle mie mani di medico.
Ascolta, nonna proletaria:
credi nell'uomo che sta per arrivare
credi nel futuro che non vedrai.
Non pregare il dio inclemente
che per tutta la vita ha deluso la tua speranza
e non chiedere clemenza alla morte
per veder crescere le tue grigie carezze.
I cieli sono sordi e sei dominata dal buio,
su tutto avrai una rossa vendetta,
lo giuro sull'esatta dimensione dei miei ideali.
Tutti i tuoi nipoti vivranno l'aurora,
muori in pace vecchia combattente.
Stai per morire vecchia Maria,
trenta progetti di sudario
ti diranno addio con lo sguardo
il giorno che te ne andrai.
Stai per morire vecchia Maria
rimarranno mute le pareti della sala
quando la morte si unirà all'asma
e consumerà il tuo amore nella tua gola.
Queste tre carezze fuse nel bronzo
(l'unica luce che rischiara la tua notte)
questi tre nipoti vestiti di fame,
sogneranno le nocche delle tue vecchie dita
in cui sempre trovavano un sorriso.
Questo sarà tutto, vecchia Maria.
La tua vita è stata un rosario di agonie,
non hai avuto amore d'uomo, salute, allegria,
soltanto la fame da dividere coi tuoi.
È stata triste la tua vita vecchia Maria.
Quando l'annuncio dell'eterno riposo
velerà di dolore le tue pupille,
quando le tue mani di sguattera perpetua
riceveranno l'ultima ingenua carezza,
penserai a loro. . . e piangerai,
povera vecchia Maria.
No non lo fare,
non pregare il dio indolente
che per tutta una vita ha deluso la tua speranza
e non domandare clemenza alla morte.
La tua vita che fu orribilmente vestita di fame
finisce vestita di fame.
Ma voglio annunciarti,
con la voce bassa e virile delle speranze
la più rossa e virile delle vendette
voglio giurarlo sull'esatta
dimensione dei miei ideali.
Prendi questa mano d'uomo che sembra di bambino
tra le tue levigate dal sapone giallo.
strofina i tuoi calli duri e le pure nocche
contro la morbida vergogna delle mie mani di medico.
Riposa in pace vecchia Maria,
riposa in pace vecchia combattente,
i tuoi nipoti vivranno nell'aurora
LO GIURO!
 

NOSTALGIA

di Giuseppe Ungaretti


Quando
la notte è a svanire
poco prima di primavera
e di rado
qualcuno passa

Su Parigi s'addensa
un oscuro colore
di pianto

In un canto
di ponte
comtemplo
l'illimitato silenzio
di una ragazza
tenue

Le nostre
malattie
si fondono

E come portati via
si rimane

DITE

di Janusz Korczak


Dite:
è faticoso frequentare bambini.
Avete ragione.
Poi aggiungete:
bisogna mettersi al loro livello,
abbassarsi,inclinarsi,curvarsi,farsi piccoli.
 
Ora avete torto.
Non è questo che più stanca.
E' piuttosto il fatto di essere obbligati ad innalzarsi
fino all'altezza dei loro sentimenti.
Tirarsi,allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi.
Per non ferirli.

sabato 3 settembre 2011

ROMA NON E' BESLAN

di Gabriella Sica

A noi non ci hanno sparato alle spalle
in una bella mattina di sole
noi siamo mamme fortunate
più morte che vive al sentire la bestia là
è il primo giorno di scuola anche a Roma
io e Rita parliamo al Caffè delle Arti
di figli e di scuola e di mariti scomparsi
che non ci possono ascoltare.
Il suo l’ha portato via un brutto male
il mio no è vivo ma non per me.
Sono tre anni da quel settembre
i morti non sono morti e sono tra noi vivi.

venerdì 2 settembre 2011

IL TUO CUORE LO PORTO CON ME

di Edward Cummings


Il tuo cuore lo porto con me
lo porto nel mio cuore
non me ne divido mai
dove vado io, io lo porto con me
e vieni anche tu, mia amata.

Qualsiasi cosa fatta da me
la fai anche tu, mia cara,
perché il mio fato sei tu, mia dolce.
Non voglio il mondo perché il mio mondo
più bello, più vero sei tu.

Questo è il nostro segreto profondo,
radice di tutte le radici
germoglio di tutti i germogli
e cielo dei cieli
di un albero chiamato vita
che cresce più alto di quanto l’anima spera
e la mente nasconde,
la meraviglia che le stesse separa.

Ma il tuo cuore esiste nel mio


giovedì 1 settembre 2011

IL TUO MORIRE

di Mark Strand

Niente riusciva a fermarti.
Non  il giorno più bello. Non la quiete. Non l' ondeggiare dell'oceano.
Continuavi a morire.
Non gli alberi
sotto cui camminavi, non quegli alberi che ti davano ombra.
Non il dottore, il giovane dottore dai capelli bianchi che già una volta ti aveva salvato.
Continuavi a morire.
Niente riusciva  a fermarti. Non tuo figlio, Non tua figlia
che ti imboccava e ti aveva reso di nuovo bambino.
Non tuo figlio che credeva saresti vissuto per sempre.
Non il vento che ti strattonava il bavero.
Non l'immobilità che si offriva al tuo movimento.
Non le scarpe che ti appesantivano.
Non gli occhi che si rifiutavano di guardare avanti.
Niente riusciva a fermarti.
Te ne stavi in camera e guardavi la città
e continuavi a morire.
Andavi al lavoro e lasciavi che il freddo ti penetrasse i vestiti.
Lasciavi trasudare sangue nei calzini.
Il volto ti si faceva bianco.
La voce ti si spezzava in due.
Ti appoggiavi al bastone.
Ma niente riusciva a fermarti.
Non gli amici che ti consigliavano.
Non tuo figlio. Non tua figlia che ti guardava rimpicciolire.
Non la stanchezza che viveva nei tuoi sospiri.
Non i polmoni che si riempivano d'acqua.
Non le maniche che sopportavano il dolore delle braccia.
Niente riusciva a fermarti.
Continuavi a morire.
Quando giocavi con i bambini continuavi a morire.
Quando ti accomodavi a pranzo,
quando ti svegliavi la notte, bagnato di lacrime, il corpo scosso dai singhiozzi,
continuavi a morire.
Niente riusciva a fermarti.
Non il passato.
Non il futuro con il suo bel tempo.
Non la vista dalla finestra, la vista del cimitero.
Non la città. Non la città orrenda dagli edifici di legno.
Non la sconfitta. Non il successo.
Non facevi altro che continuare a morire.
Avvicinavi l'orologio all'orecchio.
Ti sentivi venir meno.
Stavi a letto.
Ti mettevi a braccia conserte e sognavi il mondo senza te,
lo spazio sotto gli alberi,
lo spazio in camera tua.
gli spazi che si sarebbero fatti vuoti di te,
e continuavi a morire.
Niente riusciva a fermarti.
Non il tuo respiro. Non la tua vita.
Non la vita che cercavi.
Non la vita che hai avuto.
Niente riusciva a fermarti.




VORREI SEDERMI VICINO A TE...

di Garcia Lorca 


Vorrei sedermi vicino a te in silenzio,
ma non ne ho il coraggio: temo che
il mio cuore mi salga alle labbra.

Ecco perché parlo stupidamente e nascondo
il mio cuore dietro le parole.
Tratto crudelmente il mio dolore per paura
che tu faccia lo stesso.

Il mio cuscino mi guarda di notte
con durezza come una pietra tombale;
non avevo mai immaginato
che tanto amaro fosse
essere solo
e non essere adagiato nei tuoi capelli.


mercoledì 31 agosto 2011

ANCHE LE PAROLE

di Ghannis Ritsos


Anche le parole
vene sono
dentro di esse
sangue scorre
quando le parole si uniscono
la pelle della carta
s’accende di rosso
come
nell’ora dell’amore
la pelle dell’uomo
e della donna.


 

RELIGIONE E' CH'IO TI AMO

di Kenneth Patchen

Quando il tempo distenderà i nostri corpi
in unico sonno, la fame saziata, il cuore spezzato
come una bottiglia usata dai ladri

adorata, mentre le nostre bocche s'incontrano così tardi,
i nostri volti vicini, gli occhi chiusi
là fuori

fuori da questa finestra dove i rami si agitano
nel vento lieve, dove gli uccelli muovono rapide le ali
dentro quell'aria fiacca, amore, noi moriamo

guardiamo il sonno che arriva, infiliamo le dita
nel respiro che ci cade di dosso
vivendo, possiamo amare anche se la morte si avvicina

è il suo canto disperato che non dobbiamo ascoltare

è che ora ci stringiamo, l'uno vicino all'altra non moriamo



UN AMICO

di Khalil Gibran

Cos'è per te un amico,
Perché tu debba cercarlo
Per ammazzare il tempo?
Cercalo sempre per vivere il tempo.
Deve colmare infatti le tue necessità,
non il tuo vuoto.
E nella dolcezza dell'amicizia
Ci siano risate,
E condivisione di momenti gioiosi.
Poiché nella rugiada
delle piccole cose
Il cuore trova il suo mattino
E si rinfresca



venerdì 19 agosto 2011

POESIA DEL GUANCIALE

di Hans Magnus Enzensberger 

Perché fino alla punta delle dita
sei presente, perché hai desideri,
per come pieghi i ginocchi
e mi mostri le chiome,
per il tuo tepore
e la tua oscurità;
per le tue frasi dipendenti,
i gomiti non prepotenti
e l’anima materiale
che nella fossetta
sopra la clavicola balugina;
perché sei andata
e venuta, e per tutto
ciò che di te non so
queste mie esili sillabe
son troppo poco – o troppo.

AH, QUANTE COSE PERDUTE!

di Pedro Salinas

Ah! Quante cose perdute
che perdute non erano.
Tutte le serbavi tu.

Minuti grani di tempo,
che portò via un giorno il vento.
Alfabeti nella spuma,
che un giorno il mare travolse.
Io li credevo perduti.

E perdute le nubi
che pretendevo fermare
nel cielo
fissandole con occhiate.
E l’allegria alta
dell’amore, e l’angoscia
di non amare abbastanza,
e l’ansia
di amare, di amarti, di più.
Tutto perduto, tutto
nell’essere stato un tempo,
nel non esistere più.

E allora tu sei venuta
dal buio, radiosa
di giovane pazienza profonda,
agile, perchè non pesava
sui tuoi fianchi snelli,
sulle tue spalle nude,
il passato che tu,
così giovane, portavi per me.
Ti guardavo alla luce dei baci
vergini che mi hai dato,
e tempi e spume
e nubi e amori perduti
furono salvi.
Se da me fuggirono un giorno,
non fu per morire
nel nulla.
In te contiinuavano a vivere.
Ciò che io chiamavo oblio
eri tu.


LA TUA ASSENZA

di Fatima Na'ut

La tua assenza
giunge sempre a testa bassa
vaga come al solito per le stanze
prima di chiedere la cena e il caffè
si accerta che i piccoli siano dentro di me
e il perdono
dietro le mie orecchie
poi si affaccia al balcone
e caccia gli angeli che si sono accalcati dietro le finestre
ogni volta
solleva il soffitto di qualche centimetro
e non fa nulla.
Ho forse detto che viene a testa bassa?
Forse ho esagerato un po'
la tua assenza non viene
è qui.





TELA

di Imtiaz Dharker

Ogni giorno cerco di ridisegnarmi il volto.
Prendo pennello e pastelli,
penne e matite, tempere e colori
in polvere, e dipingo un volto.
Lo dipingo sopra il volto che ho di già,
come una tela che volessi cancellare.
Non che non mi piaccia il volto
donatomi da Dio,
ma a vederlo sembra triste,
la bocca all’ingiù.
Sopra questo, dipingo un altro volto
che sorride.
Poi lo strofino via. Non lo voglio
quel sorriso mite e sciocco sul
mio volto.
Un giorno me lo disegnerò interessante, pericoloso,
crudele.


domenica 3 luglio 2011

VERSI

di Vittorio Sereni


Se ne scrivono ancora.
Si pensa ad essi mentendo
ai trepidi occhi che ti fanno gli auguri
l’ultima sera dell’anno.
Se ne scrivono solo in negativo
dentro un nero di anni
come pagando un fastidioso debito
che era vecchio di anni.
No, non è più felice l’esercizio.
Ridono alcuni: tu scrivevi per l’Arte.
Nemmeno io volevo questo che volevo ben altro.
Si fanno versi per scrollare un peso
e passare al seguente. Ma c’è sempre
qualche peso di troppo, non c’è mai
alcun verso che basti
se domani tu stesso te ne scordi.


La ventitreesima strada porta al paradiso

di Kenneth Patchen

Stai vicino alla finestra mentre le luci ammiccano
lungo la strada. Da qualche parte un tram, che porta
a casa commesse e impiegati, passa sferragliando in questa
sera del Sabbath. Un gatto nel cortile piange
perchè trova il bidone dell'immondizia chiuso; gli strilloni
iniziano il loro giro che trasforma omicidi in penny.

Siamo chiusi in casa, per un po' al sicuro, salvi
fino a domani. Ti sfili il vestito, ti arrotoli
le calze, attenta a non smagliarle. Nuda ora,
soffice luce su soffice carne, ti fermi
un attimo; ti volti di fronte a me -
sorridi come sanno fare solo le donne
che hanno giaciuto a lungo con il loro amante
uscendone vergini.

La nostra cena è semplice, ma noi siamo meravigliosi.



Io sono una pagina per la tua penna

di Marina Cvetaeva

Io sono una pagina per la tua penna.
Tutto ricevo. Sono una pagina bianca.
Io sono la custode del tuo bene:
lo crescerò e lo ridarò centuplicato.

Io sono la campagna, la terra nera.
Tu per me sei il raggio e l’umida spiaggia.
Tu sei il mio Dio e Signore, e io
Sono terra nera e carta bianca.



Parlare... senza aver niente da dire

di Paul Eluard

Parlare... senza aver niente da dire
comunicare
in silenzio
i bisogni dell'anima
dar voce
alle rughe del volto
alle ciglia degli occhi
agli angoli della bocca
parlare
tenendosi per mano
tacere...
tenendosi per mano.


NOI ALBERI

di Marcia Theophilo

Noi alberi viviamo di piogge
di rugiade eterne e delle brume
dei fiumi e degli oceani
di mattutini vapori
e delicate nebbie.

Durante il giorno il calore

dei raggi del sole
dilata i nostri corpi sublunari
che assorbono cosi, nel profondo,
la soavissima rugiada notturna.



MESSAGGI

di Abilio Estevez

Vado tutti i giorni in riva al mare: ho imparato a
decifrare i messaggi degli uomini.
So di fogli, grigi o gialli, con grafie disperate
dentro bottiglie che non possono essere aperte dalle onde. Grida,
gemiti alla deriva che giungeranno intatti fino al Baltico o
al Mar del Giappone.
A forza di trovarli tra la sabbia, provenienti da tutti
i punti della terra, so riconoscere i quattro versi
del languido, la sua richiesta d'aiuto rimata in strofe impeccabili.
So distinguere le lacrime dozzinali con cui il grossolano sigilla il suo
appello, le imprecazioni del violento e il tono freddo dell'orgoglioso.
So riconoscere il messaggio del nostalgico: appone
sempre ben chiari nome e data.
L'abitudine a ricevere messaggi mi permette di affermare che
dietro ogni cuore disegnato si nasconde un'anima di
vergine, così come gli anziani disegnano orologi e gli
adolescenti ghigliottine.
Ci sono lunghi lamenti: appartengono al vanitoso, che descrive
prolissamente le sue aspirazioni e tutto quanto tradisce il
tempo,tutto quanto si è trasformato in nulla e in menzogna.
Una donna di carattere aggiunge il ritratto in cui la si vede di profilo,
seria e orgogliosa, con un vestito da sera e una collana di zaffiri.
Il credente esige; l'incredulo supplica; l'indifferente
si dimentica di firmare.
La lettera del saggio è un foglio in bianco.








giovedì 23 giugno 2011

VENTO DI PRIMA ESTATE

di Giorgio Caproni

A quest'ora il sangue
del giorno infiamma ancora
la gota del prato,
e se si sono spente
le risse e le sassaiole
chiassose, nel vento è vivo
un fiato di bocche accaldate
di bimbi, dopo sfrenate
rincorse.

 

DELLE VOLTE UN NO NEGA

di Pedro Salinas


Delle volte un no nega
più di quanto voleva, si moltiplica.
Si dice «no, non verrò »
e si disfano le infinite trame
lentamente intessute dei sì,
si negano promesse che nessuno ci ha fatto,
non altri che noi stessi, nell’orecchio.
Ogni breve minuto ricusato,
-forse quindici,trenta?-
si amplifica di senza fine, è come secoli,
e un «no, stanotte no »
può negare l’eterno delle notti,
la pura eternità.
Difficile saper dove ferisce
un no! Innocentemente
esce da labbra pure, un puro no;
senza macchia né ardore
di ferire, va in aria.
Ma l’aria è tutta piena
di speranze che volano, le incontra,
e le trafigge nelle tenere ali
con grande forza cieca, non volendo,
le lascia senza vita e si conficca
nel tetto azzurro che ci figuriamo
e di lì apre una crepa.
O lì rimbalza
e il suo ferreo colpire
fa strada al rovescio e gli dilacera
il petto, al petto stesso che lo disse.
Un no spaventa. Va sempre lasciato
al bordo delle labbra e dubitarne.
O dirlo così dolcemente
che arrivi
a chi non l’aspettava,
con il suono d’un «sì»,
se anche non disse sì chi lo diceva.


I VERSI

di Vittorio Sereni

Se ne scrivono ancora.
Si pensa ad essi mentendo
ai trepidi occhi che ti fanno gli auguri
l’ultima sera dell’anno.
Se ne scrivono solo in negativo
dentro un nero di anni
come pagando un fastidioso debito
che era vecchio di anni.
No, non è più felice l’esercizio.
Ridono alcuni: tu scrivevi per l’Arte.
Nemmeno io volevo questo che volevo ben altro.
Si fanno versi per scrollare un peso
e passare al seguente. Ma c’è sempre
qualche peso di troppo, non c’è mai
alcun verso che basti
se domani tu stesso te ne scordi.


domenica 19 giugno 2011

RESISTENZA

di Abilio Estevez

Non ci sono tesori, dicono i pellegrini che ritornano.
Se ne stanno lì, sul ciglio delle strade, sulle sponde di mari e
fiumi, senza dormire e senza poter toccare l'acqua, maleodoranti e
allucinati, a indicare impauriti l'orizzonte.
Non ci sono tesori, dicono e chiudono gli occhi, e spezzano i
bastoni, e si gettano a terra e non aspettano.
Non implorano più, non supplicano più. Il cielo non risponde e
non c'è speranza nei sogni.
È una menzogna la storia dei galeoni sommersi. Non
esistono i forzieri sepolti sul fondo degli oceani, con
tutto l'oro delle antiche corti, coi rubini, gli
smeraldi e le corone degli imperi scomparsi.
Non c'è mai stato un simile sfavillio in mezzo ai pesci,
ripetono, deliranti, i pellegrini che tornano.
Ignori perché si sono stancati, chi li ha dissuasi, quale
demone dell'impazienza ha spento tra le alghe la luce
dell'oro e delle pietre preziose.
Tu ti fermi un istante.
Non ci sono tesori, gridano disperati.
(Non voltare la testa. Non li vedere con gli occhi vuoti. Non
li sentire. La strada è lunga e non c'è tempo da perdere.)


venerdì 17 giugno 2011

ALZA LE TUE BRACCIA


di Juan Gelman

Alza le tue braccia,
esse racchiudono la notte,
scioglile sulla mia sete,
tamburo, tamburo, mio fuoco.
Che la notte ci copra con una campana,
che suoni soavemente ad ogni colpo dell'amore.
Seppelliscimi l'ombra, lavami con la cenere,
toglimi dal dolore, puliscimi l'aria
voglio amarti libero.
Tu distruggi il mondo affinché questo accada
tu dai inizio al mondo affinché questo accada.

 

venerdì 3 giugno 2011

SENZA TITOLO


Buongiorno, mezzanotte.
Torno a casa.
Il giorno si è stancato di me:
come potevo io - di lui?

Era bella la luce del sole.
Stavo bene sotto i suoi raggi.
Ma il mattino non mi ha voluta più,
e così, buonanotte, giorno!

Posso guardare, vero,
l'oriente che si tinge di rosso?
Le colline hanno dei modi allora
che dilatano il cuore.

Tu non sei così bella, mezzanotte.
Io ho scelto il giorno.
Ma, ti prego, prendi una bambina
che lui ha mandato via.

sabato 28 maggio 2011

L'ALITO DELLA NOTTE


L'alito della notte è il tuo lenzuolo
si corica con te la tenebra
essa ti sfiora tempia e caviglia
ti desta alla vita e al sonno
viene a stanarti nella parola
nel desiderio, nel pensiero
dorme con ognuno di essi
ti induce ad uscire
essa ti pettina il sale dalle ciglia
e mette il sale in tavola
essa spia alle tue ore la sabbia
e l’imbandisce per te
e tutto ciò che essa è stata
come rosa, ombra ed acqua
te le offre per bere.

venerdì 27 maggio 2011

STRANO VAGARE NELLA NEBBIA


di Hermann Hesse


Strano, vagare nella nebbia!
Solo è ogni cespuglio e pietra,
nessun albero vede l’altro,
ognuno è solo.
Pieno di amici mi era il mondo,
quando la mia vita era ancora luminosa
adesso, che la nebbia cala,
nessuno si vede più.
Veramente, non è saggio
chiunque non conosca il buio,
che piano ed inesorabilmente
da tutti lo separa.
Strano, vagare nella nebbia!
Vivere è solitudine.
Nessuno conosce l’altro,
ognuno è solo.
 

lunedì 16 maggio 2011

LA NOTTE NELL'ISOLA

di Pablo Neruda


Tutta la notte ho dormito con te
vicino al mare, nell'isola.
Eri selvaggia e dolce tra il piacere e il sonno,
tra il fuoco e l'acqua.

Forse assai tardi
i nostri sogni si unirono,
nell'alto o nel profondo,
in alto come rami che muove uno stesso vento,
in basso come rosse radici che si toccano.

Forse il tuo sogno
si separò dal mio
e per il mare oscuro
mi cercava,
come prima,
quando ancora non esistevi,
quando senza scorgerti
navigai al tuo fianco
e i tuoi occhi cercavano
ciò che ora
- pane, vino, amore e collera -
ti do a mani piene,
perché tu sei la coppa
che attendeva i doni della mia vita.

Ho dormito con te
tutta la notte, mentre
l'oscura terra gira
con vivi e con morti,
e svegliandomi d'improvviso
in mezzo all'ombra
il mio braccio circondava la tua cintura.
Né la notte né il sonno
poterono separarci.

Ho dormito con te
e svegliandomi la tua bocca
uscita dal sonno
mi diede il sapore di terra,
d'acqua marina, di alghe,
del fondo della tua vita,
e ricevetti il tuo bacio
bagnato dall'aurora,
come se mi giungesse
dal mare che ci circonda.


ANNIVERSARIO

di Ada Negri

Non chiamarmi, non dirmi nulla
Non tentare di farmi sorridere.
Oggi io sono come la belva
che si rintana per morire.
Abbassa la lampada, copri il fuoco,
che la stanza sia come una tomba.
Lascia ch'io mi rannicchi nell'angolo
con la testa sulle ginocchia.
L'ore si spengano nel silenzio.
Salga in torbide onde l'angoscia
e m'affoghi: altro non chiedo
che di perdere la conoscenza.
Ma non è dato. Quel volto,
quel riso l'ho sempre davanti.
Giorno e notte il ricordo m'è uncino
confitto nella carne viva.
Forse morire io non potrò
mai: condannata in eterno
a vegliare il mio strazio in me,
piangendo con occhi senza palpebre.