domenica 30 luglio 2023

NOMI CANCELLATI

 di Juan Vicente Piqueras


“La mente non è una matita per prendere nota,
ma una gomma che cancella”
(Marko Vesovič)

Mio padre iniziò lentamente a perdere il linguaggio.
E cominciò dai nomi. La prima cosa
che il suo cervello dimenticò non furono gli avverbi
né i pronomi o gli aggettivi,
come chiunque crederebbe,
né i pezzettini di polvere delle proposizioni,
ma i sostantivi.
La mela smise di essere mela,
il bicchiere divenne “chiare”,
e chiunque gli si avvicinava non si chiamava più.
La morte cominciò il suo lavoro diligente,
rubandogli i nomi,
cancellandoli, mettendo
al loro posto un “questo” o “quello”,
un “dammi”, un balbettio, un cenno della mano.
L’ultima cosa che si perde sono i verbi,
i verbi che si muovono nel sangue,
come pesci fino a quando il mondo non finisca,
e il corpo sarà stanco della sua anima.
Gli aggettivi sono affettuosi,
rivestono d’amore ciò che vedono
e perciò sopravvivono.
Invece i nomi sfumano via.
E la sostanza dei sostantivi
è bolle di sapone, nebbia, torri di fumo.
La mela smette di essere mela.
La parola “dolore”,
chi l’avrebbe mai detto,
non vuol dire più niente.

(Traduzione di Antonio Bux)

 NOMBRES BORRADOS
(UN POEMA DE JUAN VICENTE PIQUERAS)
 
“La mente no es un lápiz para tomar apuntes,
es una goma de borrar”
(Marko Vesovič)
 
Mi padre fue perdiendo poco a poco el lenguaje.
Y empezó por los nombres. Lo primero
que olvidó su cerebro no fueron los adverbios
ni los pronombres ni los adjetivos,
como uno estaría tentado de creer,
ni las motas de polvo de las preposiciones,
sino los sustantivos.
 
La manzana dejó de ser manzana,
el vaso pasó a ser “eso”,
y quienes se acercaban dejaban de llamarse.
 
La muerte comenzó su labor minuciosa
robándole los nombres,
borrándolos, poniendo
en su lugar un “esto” o un “aquello”,
un “dame”, un balbuceo, un gesto de la mano.
 
Lo último que se pierde son los verbos,
los verbos que se mueven en la sangre
como peces hasta que acaba el mundo,
hasta que ya no puede el cuerpo con su alma.
 
Los adjetivos son afectuosos,
visten de amor lo que miran
y por eso perviven.
 
Pero los nombres se esfuman.
Y la sustancia de los sustantivos
es agua de borrajas, niebla, torres de humo.
 
La manzana deja de ser manzana.
La palabra “dolor”,
quién nos lo hubiera dicho,
no significa nada.


 

giovedì 9 marzo 2017

SONO LONTANE DA ME

di Eugenio Montejo


Sono lontane da me le ore del tuo amore,
sotto una luce di neve,
in qualche città che non conosco.
Le nostre vite si raggiungono, si confondono,
si scambiano singhiozzi, baci, sogni
ma siamo lontani miglia l’uno dall’altra,
forse in secoli diversi
su due pianeti erranti che si cercano
stanchi di non trovarsi





NON DA' SOLLIEVO IL TEMPO

di Edna St. Vincent Millay


Non dà sollievo il tempo; mentivate
dicendo che sarebbe stata breve
la mia pena. Lo sento nella pioggia
che piange, alla marea che si ritira;
sciolte le vecchie nevi ad ogni picco,
le foglie dell'altr'anno son fumo sui sentieri;
non cosí per l'amaro della morte,
che resta, opprime il cuore, abita in me.
Ho paura di andare in troppi luoghi
che traboccano della sua memoria.
E se respiro in qualche quieta stanza
ignota al passo e al volto luminoso,
dico "non c'è memoria, qui, di lui"
e resto frastornata a ricordarlo.




C'E' UN LIMITE AL DOLORE

di  Ennio Flaiano



C’è un limite al dolore
in quel limite un caro conforto
un’improvvisa rinunzia al dolore.
Il pianista cerca un fiore nel buio
e lo trova, un fiore che non si vede
...e ne canta la certezza.
Il gioco è questo: cercare nel buio
qualcosa che non c’è, e trovarlo.
 

IN DUBIO PRO REO

di Vincente Gallego


Questa sera rileggo le mie parole
per rifinire il loro tono e offrirle
a un oscuro editore. E rivedendo
le loro sillabe esatte e traditrici
mi tentano lo sconforto e l’accidia.
Dove nascondono la vita che serbavo
nel loro solaio di ombre, dove celano
la passione che mi obbligò a tracciarle?
Non trovo risposta, e nel loro specchio
scopro soltanto il volto di uno sconosciuto.
Non c’è luce nelle mie parole, ai miei occhi
mancano di bellezza. Perché allora
persistere nella loro illusione, e perché
offrirle ora agli altri?
Forse nella speranza
del lettore futuro che immaginò Cernuda?
È bello il suo sogno, e la poesia
è molto bella, ma io mi domando,
disilluso, se può la mia lettura,
con il suo fervore odierno,
dare a quell’uomo la felicità
che scrisse di non provare; se meriterò
questo incerto lettore; e in che strana maniera
i versi e la vita che sentiamo frustrati
sapranno compiersi un giorno negli occhi di un altro.


 

TI DEDICO I MIEI OCCHI

di Izet Sarajlic


Ti dedico i miei occhi, le mie labbra, i miei denti.
Le poesie? Che te ne fai delle mie poesie scritte perché non sapevo tacere?
Che te ne fai delle mie poesie che non ti possono amare?


Com'è bello che non siamo né uccelli né devoti all’imbrunire
e non abbiamo le ali ma le braccia.
L’ultima cosa che ci attende non può essere la nostra morte,
perché i desideri del nostro sangue da qualche parte devono continuare.

Tu sei una donna, piccola,
tu sei una piccola donna
e un immortale agosto ti ho portato nelle mie ballate.
Resta col mio ti Amo che sopravviverà a tutte le mie
lamentevoli nenie, a tutte le mie trasformazioni.
Resta accanto ai miei occhi.

Sopravviveremo a noi stessi, non solo nel tumulo delle nostre tombe,
perché abbiamo saputo, abbiamo saputo, teneri e superbi,
fuggendo dai coltelli e dalle granate uccidere gli angeli in noi
continuando a restare angeli.

Posteri, cercateci qualche volta seguendo un filo rosso,
solo i nostri corpi giaceranno sotto la terra muta,
ma calpestate piano,
per non ferire le nostre labbra,
e non pestate i nostri sguardi morti


domenica 8 gennaio 2017

NAUFRAGIO


di Lucio Mariani

Quella notte d’estate frinita di grilli
la luna interloquí disapparendo
tra le nubi costiere e subitanea
depose un’ombra nera dall’orto fino a noi.
Nella pozza del buio la tua parola
si ruppe e naufragò come una barca di carta
colta dal sasso d’un monito insensato.
Mai piú a lungo serrasti le mie dita.




venerdì 25 novembre 2016

VERRO' QUANDO SARAI PIU' TRISTE

di Emily Bronte

Verrò quando sarai più triste,
steso nell’ombra che sale alla tua stanza;
quando il giorno demente ha perso il suo tripudio,
e il sorriso di gioia è ormai bandito
dalla malinconia pungente della notte.
Verrò quando la verità del cuore
dominerà intera, non obliqua,
ed il mio influsso su di te stendendosi,
farà acuta la pena, freddo il piacere,
e la tua anima porterà lontano.
Ascolta, è proprio l’ora,
l’ora tremenda per te:
non senti rullarti nell’anima
uno scroscio di strane emozioni,
messaggere di un comando più austero,
araldi di me?



UN INNO PER L’OCCHIO

di Jorge Debravo

Io dico che se l’anima ha un posto,
quel posto è l’occhio.
L’occhio che alimenta il nostro amore
e la nostra gioia.

L’uomo stesso, l’uomo
tutto fuoco e sorpresa,
non potrebbe essere uomo
senza l’occhio.

La vita, il mare, il cielo,
tutto era una vaga maceria,
fino a che un giorno l’occhio riunì tutto ciò ch’era vivo
e lo avvicinò ai volti.

Tutta l’eternità venne giustificata
il giorno che tutte le cose più vive della vita
si fecero pozzo di sorpresa
nell’occhio.


LETTERA

di Carlos Drummond de Andrade

E' molto tempo, si', che non ti scrivo.
Sono invecchiate tutte le notizie.
Sono invecchiato anch'io: Guarda, in rilievo,
questi segni su di me, non delle carezze
(cosi' leggere) che mi facevi in viso:
sono ferite, spine, sono ricordi
Lasciati dalla vita al tuo bambino, che al tramonto
perde la sapienza dei bambini.

La mancanza che ho di te non e' tanto
all'ora di dormire, quando dicevi
«Dio ti benedica», e la notte si spalancava in sogno.

E' quando, allo svegliarmi, vedo a un angolo
la notte accumulata dei miei giorni,
e sento che son vivo, e che non sogno.



COME SI GENERA LA POESIA

di Rainer Maria Rilke

Per un solo verso si devono vedere molte città,
uomini e cose, si devono conoscere gli animali,
si deve sentire come gli uccelli volano,
e sapere i gesti con cui i fiori si schiudono al mattino.
Si deve poter ripensare a sentieri in regioni sconosciute,
a incontri inaspettati
e a separazioni che si videro venire da lontano,
a giorni d’infanzia che sono ancora inesplicati,
ai genitori che eravamo costretti a mortificare
quando ci porgevano una gioia e non la capivamo,
a malattie dell’infanzia che cominciavano in modo così strano
con tante trasformazioni così profonde e gravi,
a giorni in camere silenziose, raccolte,
e a mattine sul mare, al mare, a mari, a notti di viaggio
che passavano alte rumoreggianti e volavano con tutte le stelle,
e non basta ancora poter pensare a tutto ciò.
Si devono avere ricordi di molte notti d’amore,
nessuna uguale all’altra, di grida di partorienti,
e di lievi, bianche puerpere addormentate che si schiudono.
Ma anche presso i moribondi si deve essere stati,
si deve essere rimasti presso i morti
nella camera con la finestra aperta
e i rumori che giungono a folate.
E anche avere ricordi non basta.
Si deve poterli dimenticare, quando sono molti,
e si deve avere la grande pazienza di aspettare che ritornino.
Poiché i ricordi di per se stessi ancora non sono.
Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto,
senza nome e non più scindibili da noi,
solo allora può darsi che in una rarissima ora
sorga nel loro centro e ne esca la prima parola di un verso.



SENZA UNA DATA DA RICORDARE

di Eduardo Mitre

Senza una data da ricordare
né un luogo ben preciso da indicare
ecco che arriva la dimenticanza.
Silenziosa
come un morto che galleggia sul fiume,
lontana, ineluttabile
come può essere solo il destino:
come un’ampia zona buia,
o una scultura perfetta,
come una faccia senza lineamenti,
senza sguardo. E’ così che arriva.
Si crea una sera, all’improvviso,
lasciandoci stupefatti,
senza un’esclamazione, senza un grido.
Ci rendiamo conto semplicemente che è nata.
E ora mi chiedo:
in quale istante, fra i molti istanti,
in quale giorno, fra i molti giorni
tu mi hai dimenticato?






domenica 9 ottobre 2016

GUADAGNI E PERDITE

di Julio Cortazar


Riprendo a mentire con grazia,
mi chino rispettoso allo specchio
che riflette il mio collo e la cravatta.
Credo d’essere questo signore che esce
tutti i giorni alle nove.

Gli dei sono morti uno a uno in lunghe file
di carta e cartone.
Niente mi manca, neppure tu
mi manchi. Sento un buco, però è facile
un tamburo: pelle ai due lati.
A volte torni la sera, quando leggo
cose che tranquillizzano: bollettini,
il dollaro e la sterlina, i dibattiti
delle Nazioni Unite. Mi sembra

che la tua mano mi pettina. Non sento la tua mancanza!
Solo cose minute all’improvviso mi mancano
e vorrei ricercarle: la contentezza
e il sorriso, questo animaletto furtivo
che ormai non vive più fra le mie labbra.







mercoledì 5 ottobre 2016

SCRIVO PER TE, MIA AMATA


di Giorgio Manacorda

Scrivo per te, mia amata. Io ti scrivo
dal futuro che non abbiamo avuto,
guardo il mare, la tua torre, il tempo,
l'isolotto, i monti che a raggiera
calano nelle acque con le loro
molli gobbe preistoriche
e nulla è cambiato, è tutto fermo lì,
ogni scaglia di quel drago silente
brilla e si staglia al vento netta in cielo,
ma la strapazza il mare, ed ogni pietra
ne trae sollievo prima di affrontare
una giornata asciutta e disperata.
Ah, se sapessi scrivere l'assenza
io piccolo e sfrontato ti darei
nuovamente la vita per toccarti
un poco con la punta delle dita.



sabato 1 ottobre 2016

AL TUO LUME NAUFRAGO

di Salvatore Quasimodo


Nasco al tuo lume naufrago,
sera d'acque limpide.

Di serene foglie
arde l'aria consolata.

Sradicato dai vivi,
cuore provvisorio,
sono limite vano.

Il tuo dono tremendo
di parole, Signore,
sconto assiduamente.

Dèstami dai morti:
ognuno ha preso la sua terra
e la sua donna.

Tu m'hai guardato dentro
nell'oscurità delle viscere:
nessuno ha la mia disperazione
nel suo cuore:

Sono un uomo solo,
un solo inferno.




lunedì 22 agosto 2016

SCRIVO IL MIO AMORE CON L'INCHIOSTRO

di Homero Aridjis


Scrivo il mio amore con l’inchiostro.
Tu mi hai dato la voce,
io solo la apro al vento.
Tu dormi e io sogno.
Sogno che sei lì,
dietro le parole.




SCRIVO IL MIO AMORE CON L'INCHIOSTRO

di Homero Aridjis


Scrivo il mio amore con l’inchiostro.
Tu mi hai dato la voce,
io solo la apro al vento.
Tu dormi e io sogno.
Sogno che sei lì,
dietro le parole.




domenica 3 luglio 2016

NON C'E' ABBASTANZA SILENZIO

di Hilda Hilst


Non c’è abbastanza silenzio
Per il mio silenzio.
Nelle prigioni e nei conventi
Nelle chiese e nella notte
Non c’è abbastanza silenzio
Per il mio silenzio.
Gli amanti nella stanza,
I topi nel muro.
La ragazzina
Nei lunghi corridoi del collegio.
Tutti i cani perduti
Per i quali ho sofferto:
Il mio silenzio è maggiore
Di tutta la solitudine
E di tutto il silenzio

SEDIAMOCI E PARLIAMO

di Roberto Rebora


Sediamoci e parliamo
giro la chiave della porta
entriamo dove c'è
un paesaggio di forme conosciute
una camera con cose delle quali
ho già detto una volta
quando ho compiuto il gesto di arrivare...
non è tana o rifugio
o il luogo dove un vecchio si ferma
forse è una sosta di quiete e di silenzio
muri con una finestra la' in fondo.
Entriamo dunque e sediamoci
non manca nulla
neppure lo sgomento
e la gioia che gioca con le ombre
e l'evidenza splendente degli enigmi
e le risposte non date
e l'attesa ancora
e la serenità anche
timorosa tentatrice...
Lo so che per ripetere
sei venuta voce di domani
che nasce dal semibuio del passato...
procediamo non soli
con una morte sconosciuta accanto...
conosciamo di noi sempre altro
volti che affiorano
e il sussurrio ritrova
sillabe non disperse nel tempo.
Se riposo a volte
sento gridare aspetta
e riconosco chi grida
ed altri che verranno...
siamo pronti forse
a risponderci pacatamente.



POESIA

di Donald Justice

Questa poesia non è dedicata a te.
Forse ci entrerai un pochino,
ma nessuno ti troverà qui, nessuno.
Sarai cambiata prima della poesia.
Proprio mentre te ne stai seduta lì, immobile,
hai già cominciato a svanire. E non importa poi molto,
la poesia andrà avanti anche senza di te.
Hai lo splendore fittizio di certe assenze.
Non è che sia triste, veramente, solo vuota.
Una volta sì, forse, era triste, chissà poi perché.
Preferisce non ricordare nulla.
Le nostalgie se ne sono staccate tanto tempo fa.
Qui non c’è posto per il tuo genere di bellezza.
E’ la notte il cielo di questa poesia.
Troppo nero per le stelle.
E non ti aspettare illuminazioni.
Tu non puoi né devi capire quel che significa.
Senti? Arriva senza chitarra,
non è né stracciata né vestita di porpora.
E non ha niente che possa rincuorarti.
Chiudi gli occhi, sbadiglia pure. Sta quasi per finire.
Dimenticherai questa poesia, ma non prima
che essa abbia dimenticato te. E non importa poi molto.
E’ stata più bella proprio nelle cancellature.
O specchi sbiancati! Oceani degli annegati!
E un silenzio non è uguale a un altro.
E quel che ne pensi tu non importa poi molto.
Mica è dedicata a te, questa poesia.


 

LA TUA VOCE AL TELEFONO

di Dario Jaramillo Agudelo


La tua voce al telefono così vicina e noi così distanti,
la tua voce, amore, dall’altra parte della linea e io qui solo, senza te, dall’altra parte della luna,
la tua voce al telefono così vicina, rassicurandomi, e tu così lontano da me, così lontana,
la tua voce che ripassa i compiti fatti insieme,
o che rammenta un numero magico,
che al di sopra del chiasso del mondo mi parla per dire in linguaggio cifrato che mi ami.
La tua voce qui, o in lontananza, che dà senso a tutto,
la tua voce che è la musica della mia anima,
la tua voce, suono dell’acqua, scongiuro, incantesimo.







SOLLEVA IL CAPO

di Marija Škapskaja


Solleva il capo e osserva il cielo:
l’un l’altra s’inseguono le nubi.
Si sfiorano appena e già sono divise,
perdute, l’una per l’altra.
Così anche noi ci separiamo,
anche noi ci perdiamo, in questo mondo.
Abbassa il capo e guarda il mare:
l’un l’altra si rincorrono le onde.
Si scontrano appena e già sono divise,
perdute, l’una per l’altra.
Così anche noi ci separiamo,
anche noi ci perdiamo, in questo mondo.




LO SPECCHIO

di Maria Luisa Spaziani


Io mi ricordo onde che s’infrangono
molto più forti rapide violente
contro scogli giganti alla cui vetta
non si leva nemmeno per scongiuro
mai la mano dell’uomo. Ne ricordo
l’orgoglio ed il candore, l’inesausta
potenza nel creare cattedrali
che nessun occhio sfiorerà nel tempo,
che rifiutan preghiere, e che nel rombo
millenario riscoprono la musica
che fu prima dell’Arca, che la terra
espresse singhiozzando eppur rapita
nel suo stesso morire.



CREDIMI, TENTO

di Luciano Luisi


Credimi, tento. Ma forse potresti aiutarmi!
Lo so che non concedi
attenuanti, mi accusi di pretesti,
non mi vuoi dare fiducia e non credi
che cerco di corregermi.'Dovresti
cambiare-dici-ormai mettere i piedi
per terra'. Alla mia età! Ma tu sapresti
farmi tornare indietro? E non lo vedi
ciò che ogni giorno escogito per fingere
che l'armonia fra vivere e sognare
non abbia scosse, e come sappia tingere
d'azzurro ogni orizzonte. Ma noi siamo
ciò che sogniamo e chi la può strappare
l'essenza della linfa dentro il ramo?


L'ULTIMA CENA

di Maria Do Rosario Pedreira


Portò le parole e le mise sulla tavola.
Le portò nelle mani chiuse (alcuni dissero
che nascondeva solo le ferite del silenzio).

Le posò sulla tavola e cominciò ad aprirle adagio,
adagio come il passare del tempo quando il tempo
non passa. E dopo le distribuì agli altri,
si moltiplicò in dita, in parole (qualcuno disse
che sarebbero arrivate e tutti, avrebbero oltrepassato i secoli e
avrebbero avuto la durata del tempo quando il tempo perdura).

Cenò insieme a tutti con il pane non lievitato e il vino aspro
delle magre viti del monte che i venti decimavano.
Quando si alzò, c'erano ancora parole sulla tavola,
cose da dire negli avanzi del pane che qualcuno aveva lasciato,
ferite profonde nelle mani che chiuse in silenzio e adagio.

Lì vicino un fico fioriva. In attesa.